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- Domande & Risposte "12" -

     - Mi sembra che il mio figliolo di 3 anni abbia i piedi piatti: che cosa mi consiglia di fare?

     Domanda semplice, risposta complessa, tenendo conto del fatto che nessuno ha la risposta assoluta in tasca. Prima dei 3 anni di vita, in effetti, si può vedere molto poco (nasciamo tutti con i "piedi piatti", e la situazione dell'arco plantare va evolvendo parallelamente alla crescita osteo-muscolare e alla maturazione dei riflessi neurologici). E' chiaro che qui si parlerà del piede piatto "vero", non quello -raro- legato a problemi di ordine neurologico grave (paralisi cerebrale infantile e simili), a fatti genetici (tipo la Sindrome di Marfan), a problemi connatali vari, traumatici, etc. Il Vostro pediatra controllerà in studio la postura del piccolo, il modo in cui cammina normalmente, l'eventuale tendenza a tenere le punte in dentro o in fuori durante la marcia, l'appoggio della pianta del piede sul podoscopio con appoggio in vetro a luce tangente (ad esami più complessi, come la baropodometria durante la marcia, penseranno -se necessario- l'ortopedico, il fisiatra, il podologo esperto; per non parlare di EMGrafia, Rx-grafia, etc.). Torniamo a noi: farò un breve excursus sui principali cosiddetti "paramorfismi" (situazioni che stanno a metà del guado tra quello che è normale "fisiologia", e quello che è "patologia" vera) degli arti inferiori, che non sono ancora "malattia", ma che, se lasciati a se stessi, possono diventarlo col tempo.

     - A) Paramorfismi dell'anca. Si tratta essenzialmente dell'anti-versione e della retro-versione dei femori, ovvero delle deviazioni angolari dell'asse del collo del femore verso l'avanti (antiversione, con angolo tendente ai 40°) o verso l'indietro (retroversione, con angolo tendente verso gli 0°) rispetto a quello fisiologico considerato normale (20° circa, la situazione per la quale camminiamo con i piedi che si pongono tra loro -se le immaginiamo come le lancette di un orologio- con la conformazione reciproca delle h. 12:00, ad un estremo, e delle h. 11:05, dall'altro). Il bimbo "antiverso" marcerà con le punte dei piedi rivolte verso l'interno, con vario grado di angolazione reciproca dei piedi (si può arrivare a situazioni estreme, nelle quali le punte dei piedi incespicano l'una nell'altra, rendendo difficile la normale deambulazione, tanto da rendere talora inevitabile l'intervento chirurgico "derotativo" dei femori) e tenderà a sedersi per terra con la tipica postura all'"indiana" (spesso -non sempre- presenterà anche piedi bilateralmente cavi. Il bimbo "retroverso" tenderà a presentare, durante la marcia, le punte dei piedi che guardano verso fuori (ricordando -ove paragonate alle lancette di cui sopra- le h. 10:10, o anche peggio), e tendendo a mantenere gli arti inferiori, quando  si siede per terra, nella posizione nota come quella "a rana" (in più, ove lasciata a andare a se stessa, la retroversione delle coxo-femorali finirà col complicarsi, in maniera quasi costante, con un appiattiamento "secondario", bilaterale, delle piante dei piedi). Antiversione e retroversione possono risentire beneficamente -almeno in certa misura- di alcuni trattamenti posturali che andrebbero idealmente intrapresi in età molto piccola. Per entrambi possono essere utilizzati con un certo profitto degli speciali -scomodi, per il vero- tutori posturali da tenere durante le ore notturne, conformati in modo tale da mantenere in certa tensione di rotazione assiale gli arti affetti, con direzione dei vettori di forza in opposizione a quella naturalmente manifestata a riposo dagli arti del bambino. Il bimbo antiverso, poi, dovrebbe essere dissuaso costantemente a sedersi per terra "come gli indiani"; quello retroverso, dal suo canto, dovrebbe evitare di sedersi "a rana" (vale a dire con le cosce affiancate l'una all'altra, le ginocchia tra di loro affrontate, le gambe flesse a 90° sulle ginocchia e divergenti tra loro). L'antiverso, infine, dovrebbe essere "educato" a cercare di sforzarsi di stare seduto sulla sedia con gli arti inferiori divergenti e i piedi divaricati, il retroverso con i piedi convergenti.

     - B) Paramorfismi delle ginocchia. Si tratta, essenzialmente, del ginocchio valgo e del ginocchio varo. Il pediatra ne valuta l'eventuale presenza ed il grado, e provvede a misurare -nel bambino disteso a riposo- la distanza tra i malleoli -D.I.M.-, che deve mantenersi fisiologicamente entro determinati gradi (non dovrebbe comunque mai arrivare a superare i 6 cm.). Il bimbo affetto dovrebbe evitare assolutamente il sovrappeso, curare un buon tono muscolare degli arti (camminare a piedi scalzi e praticare una regolare attività fisica aiuta molto), e, nei casi più importanti, dovrebbe essere mandato dall'ortopedico o dal fisiatra, perchè lo specialista della materia valuti l'eventuale opportunità di applicare per tempi opportunamente lunghi un tutore notturno (scomodo, ma abbastanza efficace) a 3 punti di pressione (sulla gamba, sulla coscia, sul versante laterale ovvero mediale del ginocchio), atto a correggere in parte, nel tempo, l'eccessiva apertura angolare dell'articolazione in dentro o in fuori). Si tenga presente che l'eccessivo valgismo delle ginocchia, se lasciato a se stesso, tende con certa regolarità a complicarsi nel tempo con valgismo delle caviglie e appiattimento dell'arco plantare.

     - C) Paramorfismi di caviglia e piede. Si tratta, sostanzialmente, del valgismo e del varismo di caviglia e retropiede, dell'appiattimento dell'arco plantare (piede piatto), o, all'opposto, dell'eccessiva altezza e raggio di curvatura dello stesso (piede cavo). Di altri problemi più rari, pur esistenti, eviteremo anche di accennare, chè lo scopo di queste pagine non è quello di buttar giù elenchi complessi di patologie d'organo. In questa sezione del sito cercheremo di trattare brevemente solo del problema che si presenta con prevalenza di gran lunga più importante agli occhi del pediatra che visiti nel suo studio piccoli bambini (idealmente con un primo approccio in età ampiamente prescolare -oppure meglio, diciamo, coincidente con quella di inizio della scuola materna-): il piede piatto lasso infantile (il termine "lasso" sta ad indicare il fatto che nei soggetti al termine dell'età evolutiva, oppure già adulti, il problema si è ormai strutturato, e non è più correggibile se non con approccio chirurgico correttivo, dal momento che le strutture anatomiche coinvolte non sono più elasticamente riportabili ad una situazione più vicina a quella "normale"). Valgismo del retropiede (il calcagno normale descrive con il suo asse longitudinale un angolo di circa 8° -aperto in fuori- rispetto alla retta verticale portata al terreno di appoggio) e piattismo più o meno accentuato dell'arco plantare sono due facce dello stesso problema, nei termini concettuali e pratici che tra breve spiegherò. Tutti sappiamo che, tradizionalmente, il bimbo con i piedi piatti finiva inevitabilmente col venire avviato sulla strada della "scarpa ortopedica", sentiero obbligato da dover percorrere se la famiglia voleva perseguire la speranza (di regola vana, e poi spiegherò perchè) di risolvere il problema. Ma la scarpa ortopedica finiva regolarmente con l'alimentare speranze iniziali di accorato fervore, poi seguite da risultati finali di depressa delusione: la scarpa ortopedica, si finiva col dire, praticamente non funziona mai, e quindi è inutile metterla (infatti, la si faceva indossare al primogenito, ma se negli anni successivi venivamo su altri figli, a quelli si evitava, in genere, l'inutilmente scomoda incombenza). Venne così l'era della chirurgia, divenuta oggi scelta di moda, tenuta diffusamente in gran spolvero: visto che tanto la scarpetta è inutile, cioè, io genitore mi evito problemi e fastidi, e, semplicemente, a 10 anni, mio figlio lo faccio operare, risolvendo definitivamente -e solo pagando lo scotto di 20 giorni di convalescenza- tutti i suoi -e i miei- problemi (scelta in puro stile americano, ovvero "tutto, velocemente e subito"). Il problema è, però, che le delusioni invariate delle scarpe ortopediche erano legate, praticamente tutte, al fatto che la scarpa ortopedica era, semplicemente e invariabilmente... sbagliata: concettualmente ideata male, e, conseguentemente, realizzata peggio, se vista a paragone con gli scopi che avrebbe dovuto perseguire. Tutte (ribadisco il "TUTTE") le tradizionali scarpe ortopediche si sono infatti basate, da sempre, sul concetto che bisognasse passivamente "sostenere" dall'esterno (cioè tirare su) quell'arco plantare che non trovava autonomo sostegno al suo stesso interno: se un arco murario non sembra reggere alla bisogna e dà il sembiante di essere sul punto di crollare, che altro posso fare se non chiamare geometra e impresa edile per applicarci, sotto, una bella impalcatura di sostegno? Tutto teoricamente bello, se non fosse che l'arco murario sta lì fermo indefinitamente, e, a sostenerlo da sotto, potrebbe arrivare a durare secoli. Il piede, però, è una cosa che si muove, che, per sua intrinseca natura, "cammina", sostiene dinamicamente il peso del corpo per milioni e milioni di passi, in marcia lenta, al trotto o di corsa, sull'asfalto liscio o dissestato -comunque duro- delle nostre strade, sui sassi, sulla sabbia, a scalare una parete in montagna, sui pattini, a salire e scendere le scale, con gli scarponi da sci, quelli da lavoro, le scarpe da ginnastica, le pinne, le ciabatte e le pantofole, i trampoli, oppure... senza niente, completamente nudo (il piede scalzo che cammina sull'erba era quello che era stato mirabilmente progettato e costruito ad uso e consumo del primo "Homo Sapiens" che mosse i suoi primi passi -è il caso di dire, quei passi che lo portarono in lento cammino a conquistare pian piano il resto del mondo- ai tempi dei nostri antenati di 200.000 anni fa, sugli altopiani verdi dell'Etiopia). Per aiutare il piede a sostenersi da solo quando non vuol saperne non basta il geometra, serve l'ingegnere meccanico: il piede vive, sente e respira, non è pietra inerte, può essere fonte di piacere e benessere, oppure di disagio e malessere estremo (domandare, per credere, a qualche donna che cosa senta ai piedi dopo una giornata passata sui tacchi alti). Il problema è che lo maltrattiamo fin da piccolo, non stiamo mai ad ascoltarlo, lo immaginiamo fatto apposta per entrare nelle scarpine Balducci, o Naturino, o che so io: mai che pensiamo che è invece la scarpina, qualunque scarpina, anche quella di più umile pezza acquistata al mercato dell'angolo, a doversi adattare al piedino del bimbo, mai l'opposto. Il piedino cresce da solo e tendenzialmente bene, chiede solo di esere rispettato e lasciato in pace. Il girello è deleterio (come insegnano i bambini che imparano così a camminare sulle punte e poi continuano a farlo per anni), le scarpe fatte indossare prima del tempo sono veleno -pagato spesso a caro prezzo- per i nostri passi futuri. Ad ogni modo, quando il paramorfismo (piede piatto, caviglia valga) si sia manifestato, bisogna evitare che progredisca, e poi farlo regredire nei limiti del possibile. Con l'esame statico al podoscopio (la podoscopia dinamica e la baro-podo-metria sono esami più approfonditi, che, come detto, andranno effettuati dal fisiatra o dal podologo con specifica preparazione) il Vostro pediatra valuterà la conformazione dell'arco plantare (i piattismi plantari possono essere di 3 diversi gradi di gravità, dal 1° grado -iniziale e abbastanza facilmente correggibile con terapia posturale e ortesica-, al 2° -trattabile con relativa efficacia, almeno nelle fasi iniziali, con terapia posturale e ortesica, e, solo in mancanza di risoluzione, mediante approccio chirurgico-, al 3° grado -scarsamente responsivo ai trattamenti riabilitativi incruenti e necessitante quasi costantemente di intervento operatorio correttivo-), con l'aiuto della monovra del "bending dell'alluce" -sollevando passivamente l'alluce, il piede piatto lasso vero tenderà a mostrare segni di auto-correzione-, che gli consentirà di stabilire se il problema sia effettivamente legato ad un piattismo lasso del piede (e quindi correggibile), oppure si tratti di un fatto anatomicamente strutturato (nel qual caso l'unica possibilità terapeutica sarebbe la chirurgia del piede). Ai 3 anni di vita, il pediatra che abbia riscontrato l'eventuale problema potrà ritenere opportuno di rivolgersi allo specialista della materia, fisiatra o ortopedico che sia, al fine di intraprendere, se del caso, gli opportuni trattamenti ortesici ("plantare a spinta elastica mediale" -l'unico in assoluto che fornisca qualche garanzia di successo terapuetico-, essenzialmente) e riabilitativi (il bambino dovrà essere indotto dai genitori -opportunamente istruiti da personale specializzato- ad imparare progressivamente a saper camminare nella maniera corretta, ovvero sollevando ben ben le ginocchia ad ogni passo -andrà disabituato a "trascinare i piedi"-, a deambulare sforzandosi di tenere le dita dei piedi sollevate con forza, ad appoggiarsi sui talloni e sul margine esterno dei piedi -le attività ginniche sulle punte possono contribuire ad un buon tono generale delle estremità inferiori, ma non correggono nulla-: il tutto a piedi nudi e avendo cura di essere costanti a fare gli opportuni esercizi per almeno 1 ora complessiva al giorno). Il plantare a spinta elastica mediale (è costituito da una sottile lamina in acciaio elastico ricoperto da materiale morbido, e si incarica di fornire una spinta elastica dal di dentro verso il fuori -tecnicamente, con direzione medio-laterale, esercitando una forza di 6-7 kg.- su quella sporgenza ossea che si intravede sottocute sulla faccia interna della caviglia, al di sotto del malleolo tibiale: si tratta del margine mediale dell'osso astragalico, che va rispinto nella sua sede fisiologica, la quale non dovrebbe vederlo sporgere oltre il limite mediale del calcagno che gli sta sotto. Non sostiene artificiosamente l'arco plantare, chè quella è una cosa che si è voluto fare inutilmente per decenni, prima che ci si rendesse conto del fatto che non serve assolutamente a nulla. Una qualunque cosa che spinga l'arco in sù con azione meramente passiva, infatti, finirà con il funzionare, all'apparenza, ma solo durante la fase di spinta, con tutto quanto destinato, però, a tornare irrimediabilmente giù quando quel mezzo di spinta venga meno (cambio di scarpe con impossibilità di spostamento contestuale del plantare, scarpe aperte o sandali, piedi nudi) => piede piatto irrimediabile, se non c'è sotto il plantare (all'età dell'adolescenza poi tutto il problema si strutturerà anatomicamente, rendendo irreversibile il complesso). Lo scopo del plantare con spinta elastica mediale, quindi, non è quello di mantenere l'arco in alto, ma di spingere in dentro il margine mediale del retropiede e, quindi, del calcagno, che in questi casi risulta essere, in genere, maggiormente inclinato di quegli 8° che sarebbero fisiologici: la sua azione, inoltre, non si limita ad una spinta passiva sull'interno del retropiede, ma svolge anche un'azione dinamica di tipo "rieducativo" nei confronti della correttezza del passo. Esattamente come accade oggi con i moderni busti ortopedici "derotativi" in uso nei casi di scoliosi di media gravità, lo scopo dell'ortesi plantare è quello di stimolare attivamente la struttura anatomica sulla quale è applicata a comportarsi in modo tale da "allontanarsi dalla spinta": è come se la spinta in senso laterale sviluppata dal plantare obblighi il piede, durante il passo, ad atteggiarsi in modo tale da evitare l'appoggio passivo -"fastidioso"- sulla parete dura del plantare (la dimostrazione di questo viene dalla constatazione del frequente iniziale generarsi di vescichette cutanee di attrito nel punto di contatto tra piede e plantare da poco applicato). La scarpa indossata non ha nessuna importanza: di pelle o di tessuto, deve essere semplicemente comoda, morbida (per favorire l'auspicabile movimento libero del piede durante la deambulazione), sufficientemente ampia da consentire l'agevole applicazione, al suo interno, del plantare appena fabbricato (pertanto, va acquistata solo dopo avere preso possesso del plantare, che poi potrà essere tranquillamente spostato da una scarpa adatta all'altra). Si effettueranno 2 controlli radiologici in latero-laterale su entrambi i piedi sotto carico, prima dell'applicazione di plantare e subito dopo: se il plantare è stato correttamente prescritto, opportunamente progettato, ben realizzato, quello che nel 1° radiogramma non si apprezzerà, ovvero il "seno del tarso" (una specie di piccolo spazio vuoto apprezzabile radiologicamente sopra l'osso calcaneare, nello spazio compreso tra questo e l'astragalo che gli sta sopra), ricomparirà magicamente nel secondo, per effetto della spinta derotativa dinamica sulla faccia mediale del retropiede superiore (se il seno del tarso non ricompare il plantare potrà essere buttato via, perchè sarà segno che non si è riuscito a realizzarlo correttamente per gli scopi che ci eravamo prefissi). L'applicazione del plantare (40% di importanza nell'azione terapeutica) e la fisioterapia rieducativa (60%) si dovranno mettere in atto dal memento della diagnosi (3-4 anni), sino agli 8-9 anni al massimo, per sperare di poter apprezzare qualche risultato apprezzabile e concreto: se a quest'età non si sia però raggiunto un risultato apprezzabile, allora diventerà inevitabile addivenire all'intervento chirurgico correttivo (oggi molto -forse troppo, direbbe qualcuno- di gran moda), da tenersi tra i 10 e i 12 anni di età. Le tecniche chirurgiche mini-invasive odiernamente in atto sono tese, essenzialmente, ad ottenere rapidamente con mezzo meccanico "coercitivo" quello che non si è riusciti prima ad ottenere con mezzo riabilitativo incruento, ovvero l'auspicabile corretto riallineamento "fisiologico" tra le superfici inferiore dell'astragalo e superiore del calcagno, nonchè tra i loro margini mediali. Le tecniche utilizzate sono tutte assimilabili sostanzialmente alle due più importanti e note, entrambe volgarmente conosciute come "applicazione delle viti". Si tratta del "Calcaneo-Stop" (in tal caso si applica una piccola vite in metallo infissa nel calcagno -si rimuoverà alcuni mesi dopo la sua applicazione-, in modo tale che la sua testa sporga sotto l'astragalo, in quello spazio virtualmente vuoto denominato "seno del tarso"), o dell'applicazione di una specie di tassello semirigido sempre nel seno del tarso (del tipo della "endortesi riassorbibile di Giannelli", un elemento -costituito da materiale semirigido- il quale non va rimosso, in quanto risulterà riassorbito spontaneamente nel volgere di 4-5 anni, a situazione ossea ormai strutturalmente fissata secondo linee fisiologiche).

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     - Qual è l'ordine cronologico normale dell'eruzione dei denti (da latte e permanenti)?

    In realtà, è molto variabile da soggetto a soggetto (in famiglie in cui il menarca materno si sia manifestato tardivamente, risulta più spesso tardiva l'eruzione dentaria, sia dei decidui che dei permanenti). Le notizie che qui dui seguito riporterò sono tratte, in via prevalente, da linee esplicative rinvenibili sul sito web dell'Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma:

I denti da latte

     I denti decidui o da latte sono presenti solo nell'infanzia. Successivamente essi vengono sostituiti dai denti permanenti, i quali costituiscono la cosiddetta dentatura definitiva.
     I denti decidui, di colore bianco latte, sono 20, così suddivisi per ogni arcata dentale:
- 2 incisivi centrali
- 2 incisivi laterali
- 2 canini
- 4 molari
     Gli incisivi centrali inferiori sono di solito i primi denti decidui a spuntare tra il 3° e il 6° mese di vita del bambino, mentre gli incisivi superiori erompono leggermente più tardi, di solito tra il 5° e il 7° mese di vita. L'eruzione degli incisivi centrali e laterali delle due arcate si completa, generalmente, entro il primo anno di vita.
     L'eruzione dei denti decidui si completa a circa 2 anni e mezzo d'età.

     Cronologia dell'eruzione dei denti decidui:
- Incisivi centrali e laterali: dal 3° al 12° mese
- Primi molari decidui: dal 12° al 18° mese
- Canini: dal 18° al 24° mese
- Secondi molari decidui: dal 24° al 30° mese

I denti permanenti

     L'eruzione dei denti permanenti inizia intorno ai 6 anni con lo spuntare in cavità orale del primo molare.
     Il primo molare è il primo dente permanente: esso non prende il posto di nessun dente da latte, ma si posiziona in fondo all'arcata. Questo dente risulta di particolare importanza per tutta la dentizione permanente in quanto "gestisce" le operazioni di permuta, guidando al proprio posto gli altri denti permanenti che cominciano ad erompere in cavità orale.
     Dopo i 6 anni infatti, la radice dei denti da latte comincia a consumarsi e a riassorbirsi, spinta via, con direzione dal di dentro verso l'esterno, dai denti permanenti sottostanti in crescita.
     Fra i 5-6 e i 7 anni vengono cambiati gli incisivi centrali, seguiti, dopo un breve intervallo, da quelli laterali. Questa dentatura mista, ossia con denti da latte e permanenti, rimane solitamente fino ai 12 anni: tra i 9 e gli 11 anni i canini decidui vengono sostituiti da quelli permanenti, mentre tra i 10 e gli 11 anni i primi molari da latte vengono sostituiti dai premolari.
     Intorno agli 11-12 anni i secondi molari da latte vengono sostituiti dai secondi premolari permanenti.
     Infine, a 12-13 anni completano la dentizione definitiva i secondi molari permanenti, i quali, come i primi, non rimpiazzano alcun dente deciduo.
     I denti del giudizio (terzi molari permanenti) non sono presenti in tutte le persone e la loro eruzione avviene in un'età variabile, solitamente dopo i 17 anni (e talora parecchi anni dopo).

     Cronologia dell'eruzione dei denti permanenti:
- Primi molari permanenti: intorno ai 6 anni
- Incisivi centrali e laterali: tra i 6 e i 7 anni
- Canini: dai 9 agli 11 anni
- Premolari permanenti: 10 – 11 anni
- Secondi premolari permanenti: 12 – 13 anni
- Denti del giudizio: dopo 17 anni

     Alla fine la dentatura definitiva sarà costituita da 32 denti, così distribuiti per ciascuna arcata:
- 2 incisivi centrali;
- 2 incisivi laterali;
- 2 canini;
- 4 premolari;
- 6 molari.

Anomalie nella crescita e nell'aspetto dei denti

     I tempi (e anche l'ordine) di eruzione dei denti possono variare notevolmente da una persona all'altra. Le persone disabili possono incorrere con maggiore frequenza in ritardi nell'eruzione sia dei denti da latte che di quelli permanenti. In taluni casi si può avere la mancanza di alcuni elementi dentari, così come possono manifestarsi imperfezioni le più varie a livello di smalto e dentina (chiazze e macchie -chiare o scure-, fossette, linee trasversali/longitudinali, etc.). Tali anomalie nella composizione dello smalto e della dentina possono essere legate a ragioni costituzionali, oppure essere acquisite (carenze alimentari, malattie come la celiachia o le affezioni della tiroide, contaminazioni chimiche, farmaci -come, un tempo, le tetraciciline, farmaci antibiotici oggi non più utilizzate in età pediatrica-, etc.). Alterazioni nel numero di denti erotti non sono, in effetti, evento rarissimo, e sono da considerare praticamente sempre di origine costituzionale (in effetti, i germi dentari, sia degli elementi decidui che di quelli permanenti, sono in numero predefinito già al momento della nascita, come semini pronti a germogliare ognuno al suo momento cronologicamente predeterminato). Alterazioni specifiche generalizzate nella forma delle corone dentarie (vedansi i denti conici, per esempio, tipici di una malattia genetica nota come Displasia Ectodermica Ipoidrotica) devono far pensare a particolari condizioni genetiche: esse sono in effetti concretamente ipotizzabili quando il bimbo non tolleri il caldo e sia soggetto, per scarse capacità di sudorazione, a frequenti (e pericolosi) colpi di calore. Infine, si tenga presente che se un dente permanente erompe in posizione ectopica (in generale, non subito sotto a quello deciduo che andrà a sostituire, bensì dietro ad esso, cosa che accade con una certa frequenza agli incisivi inferiori) può darsi il caso che sia necessario fare intervenire il dentista per estrarre quello deciduo ancora saldo: infatti la radice di quest'ultimo, non consumata come di regola dal dente permanente che dovrebbe stargli sotto, e che invece è spostato, continua sovente ad ancorare all'osso alveolare il dente da latte, il quale finisce per non lasciare mai il suo spazio al dente definitivo che sta crescendo. In questi casi il dentista estrarrà il dente da latte, permettendo così alla lingua, poi, di spingere in avanti, al suo proprio posto, il dente definitivo in eruzione. Ultima notazione per le famiglie: LE CARIE DEI DENTI VANNO SEMPRE CURATE DAL DENTISTA, ANCHE QUANDO COLPISCANO I DENTI DA LATTE!!! Non è pertanto buona politica sanitaria quella di dire -e dirsi-: tanto prima o poi cadrà...

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     - E' buona cosa oppure no abituare i miei piccolini all'uso del ciucciotto?

    Quella del ciucciotto (il mezzo più noto per favorie la cosiddetta "suzione non nutritiva") è una di quelle questioni -apparentemente banali- relative a cose che tutti -o quasi- fanno, ma per le quali nessuno sa esattamente come regolarsi e regolare, e neanche se sia in realtà un bene oppure un male (e tanto naturale e normale sembra che quasi nessun genitore, tenendosi così dentro i suoi dubbi, prende l'iniziativa di chiedere al pediatra: si fa così -oppure non si fa- e basta, stop, perchè così fan tutti!). Cominciamo col dire che -in assoluto- non è affatto un male: i bimbi piccoli hanno la naturale, più spesso irresistbile, tendenza a portare tutto alla bocca e succhiare, modo principe per esplorare il mondo e combattere lo stress (ce l'hanno anche loro, mica solo noi, e ce l'hanno sin da dentro la pancia della mamma), e, in questo senso, se si deve scegliere tra lasciar loro succhiare il dito (o la mano intera, o il labbro inferiore, o i capezzolo della mamma sino allo sfinimento della medesima), oppure insegnare a succhiare qualcosa di alternativo, allora è di gran lunga meglio l'alternativa, ovvero il ciucciotto (o succhietto, ciuccetto, etc. etc.). L'uso del ciucciotto nel bimbo piccolo (e qui si intende sino ai 18 mesi, 24 al massimo) è da considerare quindi, in linea di massima, cosa buona e giusta. Tra i vantaggi, quello di favorire un corretto sviluppo del massiccio cranio-facciale (in tutti i neonati, e nei nati prematuri soprattutto, si è dimostrata una migliore crescita del complesso mandibolo-mascellare, con migliore sviluppo delle vie aree superiori posteriori, fenomeno che sembra permanere dopo la dismissione del ciucciotto stesso), di favorire una corretta respirazione nasale (e, in questo senso, aiutare a prevenire tanti dei disturbi respiratori del sonno -in primis i problemi legati alla respirazione orale notturna e al russamento, le apnee e le ipopnee tipiche delle OSAS-, tipici delle età successive), di ridurre leggermente il rischio di SIDS ("Sudden Infant Death Syndrome", le terribili morti bianche, i decessi improvvisi in culla, sovente preceduti dal campanello premonitore delle ALTE -"Apparent Life-Threatening Event", episodi apparentemente pericolosi per la vita-), probabilmente tramite la riduzione del fenomeno del "rebreathing" (la ri-respirazione in circolo vizioso della stessa aria "consumata", fenomeno legato alla malsana abitudine di tirare le coperte su sino al volto del pargoletto che dorme, nell'illusione stupida di proteggerlo meglio dal freddo), di limitare il numero e la frequenza dei risvegli notturni (che poi è notoriamente la motivazione per la quale le famiglie il ciucciotto decidono di comprarlo), di migliorare il livello di saturazione medio di ossigeno nel sangue, notturno ma anche diurno (il portare ciclicamente la lingua in alto e in avanti, tipico dell'atto del succhiare, sembrerebbe favorire un miglior flusso aereo, specie se ill naso sia leggermente ostruito, per esempio in caso di rinite in corso con aumentata formazione di muco nasale). Detto dei numerosi vantaggi, bisogna parlare di alcune "avvertenze", cose che il genitore deve sapere: - 1) Il ciucciotto andrebbe offerto non prima dei 30-45 giorni di vita, specie in quei bimbi che, allattati al seno, manifestino iniziali difficoltà ad accettare correttamente il capezzolo della mamma (diverso il discorso per quei bimbi che invece il capezzolo lo prendano volentieri da subito, oppure, al contrario, per quelli -si confida pochi- per i quali il biberon si riveli la scelta obbligata sin dall'inizio); - 2) Il ciucciotto va lavato e sterlizzato con cura, come qualunque oggetto destinato all'alimentazione del lattante; - 3) Il ciucciotto NON DEVE essere mai messo nella bocca della mamma prima di porlo al pargoletto (Helicobacter Pylori ed altri batteri sono sempre in agguato); 4) Il ciucciotto deve essere della misura che "si sceglie" (nel senso di preferire) il bimbo da sè (le misure dei prodotti commerciali, che teoricamete crescerebbero con lui, non sempre poi a lui vanno bene: e, siccome le moderne tettarelle in silicone sono in grado di durare a lungo, lasciamo scegliere allora a lui che cosa a lui piaccia davvero, e non al numero della misura della confezione che troviamo dal negoziante: in fondo chi dovrà tenerlo in bocca è lui, non chi ce lo vende); - 5) IL CIUCCIOTTO VA LEVATO E GETTATO VIA (STOP, BASTA, VIETATO, VERBOTEN!!!) UNA VOLTA CHE IL BIMBO ABBIA RAGGIUNTO I 18-24 MESI AL MASSIMO di vita: al distacco strillerà come un'aquila giorno e notte per una settimana intera, con somma disperazione consensuale della famiglia e dei conviventi tutti, ma poi se lo dimenticherà e la tempesta infernale si placherà (e a quel punto non imparerà più a succhiare ill dito). Dopo quest'età, infatti, sono chiari e dimostrati i danni che un ciucciotto concesso troppo a lungo provoca alla occlusione dentaria, specie per ciò che concerne la morfologia del morso (e saranno le tasche dei genitori, poi, a piangere davanti al conto dell'ortodonzista); inoltre, un ciucciotto succhiato oltre i 2 anni di età ormai è assodato essere tra gli elementi favorenti l'instaurarsi il fenomeno delle Otiti Medie Ricorrenti.

     Pertanto, ad un anno e mezzo di vita, due al massimo: BUTTIAMOLO VIA!!!

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.... La vita vince sempre!!!